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mercoledì 25 agosto 2010

Come fu che Archimede incendiò le navi romane

Una delle figure più fulgide nel panorama della scienza antica fu sicuramente Archimede. Nato a Siracusa, era distratto e svagato, come quasi tutti gli scienziati, come scrive Montanelli. A conferma di ciò giova ricorcdare l'episodio della vasca, quando Archimede, immerso nell'acqua, ebbe l'intuizione per risolvere il dilemma propostogli dal suo sovrano, Gerone. Capito il principio che sta alla base della ben nota spinta di Archimede, lo scienziato siracusano corse fuori dalla vasca urlando Eureka! Eureka! dimentico persino di vestirsi: è semplicemente l'essenza del piacere della scoperta.
Morto Gerone, però, il suo successore decise che era tempo di affrancarsi, come era successo con la Grecia a suo tempo, e anzi di sfidare la potenza di Roma. La flotta dei latini, guidata da Marcello, assediò Siracusa per 8 mesi e più, fino a che non riuscì a vincere la resistenza dell'inespugnabile cittadina siciliana. I soldati romani sciamarono, così, per le strade della città, con l'ordine, però, di non toccare Archimede e anzi di trarlo prigioniero con tutti i riguardi. Il buon scienziato, ormai intorno alla settantina, era però sulla spiaggia a tracciare cerchi e figure geometriche quando un armigero gli si avvicina invitandolo a seguirlo. Di fronte al rifiuto (doveva prima concludere ciò che aveva iniziato), il romano lo uccise e così finì la sua vita il personaggio più geniale dell'antichità, l'artefice di una così lunga resistenza contro quello che stava per diventare l'esercito più forte di tutti i tempi.
Le macchine che Archimede ideò erano varie e disparate e tra queste, secondo la leggenda, ci sono i così detti specchi ustori, con i quali incendiava le navi romane che si avvicinavano alla costa. Durante la conferenza dedicata ad Archimede, The Genius of Archimedes - 23 centuries of influence on mathematics, tenutasi a Siracusa dall'8 al 10 giugno 2010, Cesare Rossi della Federico II ha proposto una idea alternativa a quella leggendaria, la cui inefficienza era stata provata già da tempo: Archimede utilizzò un cannone a vapore. Le sue idee sono state da poco pubblicate negli atti del congresso in un articolo dal titolo Archimedes' cannons against the roman fleet?
Storicamente l'attacco e l'assedio dei romani contro Siracusa si colloca tra il 214 e il 212 a.C.: come leggenda vuole, Archimede bruciò le navi nemiche grazie all'uso di una serie di specchi ustori. L'ingegnere greco Joannis Stakas aveva già provato un sistema di questo genere nel 1974, sistema che poi verrà utilizzato per riscaldare i liquidi in dispositivi diffusi nei paesi in via di sviluppo.
Nonostante la prova sul campo, però, sono state molte le perplessità circa l'efficacia del sistema come arma (di difesa o offesa che sia): innanzitutto la nave, per incendiarsi, deve trovarsi nel fuoco dello specchio, e quindi o si sposta continuamente lo specchio stesso o si cambia la sua curvatura in modo tale da seguire i movimenti della nave, che certo non ha nessuna intenzione di restare ferma a farsi bruciare. Inoltre per bruciare una nave occorrono grandi quantità di energia, e molto probabilmente bastava un secchio d'acqua per spegnere le prime fiammelle e quindi scongiurare il pericolo.
Tra le carte di Leonardo da Vinci, però, si trova un particolare disegno, lo schema di un cannone a vapore che egli attribuì ad Archimede e che chiamò architronito (o tuono di Archimede):
Architronito è una macchina di fine rame, invenzione di Archimede, e gitta ballotte di ferro con grande strepito e furore. E sasi in questo modo. La terza parte dello strumento istà in fra gran quantità di foco di carboni, e quando sarà bene da quelle infocata, serra la vite, d, ch'è sopra al vaso dell'acqua abc; e nel serrare di sopra la vite e' si distopperà di sotto, e tutta l'acqua discenderà nella parte infocata dello strumento, e lì subito si convertirà in tanto fumo che parirà maraviglia, e massime a vedere la furia e sentire lo strepido.
Questa cacciava una ballotta, che pesava un talento (una palla del peso tra i 26 e i 38 kg), sei stadi (una gittata di 1100 m).
Fa che 'l ferro cn sia pontato in mezzo la tavola, che gli è appiccata di sotto, a ciò che l'acqua possa in un tempo cadere d'intorno a essa asse.
(da Ms. B, f. 33 v.)
Prima di Leonardo, però, è Petrarca che nel De Remediis Utriusque Fortunae descrive un dispositivo simile, assegnandolo anch'esso al genio del siracusano:
Straordinario, se non anche le palle di bronzo, che vengono scagliate con tuono orribile. Non era abbastanza l'ira di Giove che tuonava dal cielo, se il piccolo uomo (o crudeltà unita alla superbia) non avesse tuonato anche dalla terra: la violenza umana ha imitato il non imitabile fulmine, come dice Virgilio. E quello che di solito è scagliato dalle nuvole, e mandato con uno strumento sì di fuoco, ma infernale. Ed alcuni ritengono che questo sia stato inventato da Archimede, nel tempo in cui Marcello assediava Siracusa. Per la verità lo escogitò per difendere la libertà dei suoi cittadini, sia per allontanare sia per differire la rovine della patria; e voi vene servite, invece, per opprimere i popoli liberi o col giogo o con la distruzione. Questa peste non molto tempo fa rara, ora siccome gli animi sono succubi alle cose più malvagie, è comune come qualsiasi genere di armi.
Ulteriore testimonianza, questa di prima mano, viene dallo storico greco Plutarco che nel suo Vite parallele, vol.II, Pelopida e Marcello 14-15, racconta che, durante l'assedio di Siracusa, i romani ad un certo punto videro spuntare un tubo e subito dopo Archimede stava iniziando a sparare qualcosa contro di noi.
Dalle ricerche di Simms, poi, sembra che il matematico Tartaglia scrisse che Valturio, ingegnere e letterato italiano, nel suo trattato De re militari, asseriva che Archimede aveva progettato un dispositivo in grado di sparare pietre grandi e pesanti.
In accordo con Rossi, quindi, gli specchi che hanno generato la leggenda sono in realtà di forma parabolica e utilizzati da Archimede allo scopo di riscaldare la parte posteriore del suo cannone.
Il cannone, poi, secondo lo schema presente nell'articolo, funzionava in questo modo:
Una certa quantità d'acqua veniva messa nel serbatoio A, allora la valvola B1 veniva aperta e l'acqua cadeva in C. Successivamente la valvola B1 veniva chiusa e la B2 aperta: l'acqua fluiva nella camera del cannone e vaporizzava. Attraverso la pipa D, la pressione in C era eguagliata a quella nella camera del cannone. La pressione del vapore sparava la palla E fuori dalla canna.
Ammesso e non concesso che un sistema del genere sia in grado di funzionare (per farvi un'opinione, non dovete fare altro che leggere l'articolo di Rossi), vediamo quali sono le caratteristiche fisiche del proiettile, ovvero energia e traiettoria.
Nell'ipotesi di un diametro di 200 mm, una massa di 6 Kg, una lunghezza della canna di 2,4 m, Rossi ricava una velocità d'uscita di 60 m/s, l'energia iniziale del proiettile è di 10,8 kJ, mentre il tempo impiegato per attraversare la canna è di 0,08 s.
Tutto questo è possibile con una temperatura iniziale dell'acqua di 30° che poi passa a 430° durante la vaporizzazione, mentre il calore trasferito è di 53 kJ. Supponendo che circa il 20% di tale energia passa al proiettile, i conti per energia e velocità iniziali sono fatti.
Per quel che riguarda la traiettoria, l'ipotesi di partenza sulla forza di attrito prevede un'equazione del tipo \[F_a = \frac{1}{2} \rho v^2 A\] dove $\rho$ è la densità dell'aria, v la velocità del proiettile mentre attraversa l'aria, A è la sezione del proiettile. La formula è, come spero ricorderete, sostanzialmente quella che descrive la forza d'attrito viscoso in caso di regime vorticoso.
Per determinare la traiettoria, però, bisogna risolvere le equazioni del moto. La loro scrittura si basa sul secondo principio della dinamica, scoperto da Isaac Newton, ovvero che la forza totale che agisce su un corpo è data dal prodotto della sua massa per la sua accelerazione.
In questo caso il moto avviene lungo un piano (si trascura l'eventuale intervento del vento, la cui azione è perpendicolare al piano del moto considerato) e quindi bisogna scrivere due equazioni, una per il moto orizzontale, lungo l'asse x \[m a_x = F_a\] e una per il moto verticale, lungo l'asse y \[ma_y + mg = \mp F_a\] Il doppio segno serve per indicare che la forza di attrito, opponendosi al moto, sarà ora verso il basso, quando il proiettile sale, ora verso l'alto, quando il proiettile scende.
Le due equazioni sono state risolte numericamente. Sono stati così prodotti due serie di dati, una in cui si varia l'alzo a velocità costante e un'altra in cui si varia la velocità ad alzo costante. Come potete osservare nei grafici qui sotto, con un angolo di 4° e una velocità di 60 m/s è possibile raggiungere un oggetto a circa 100 m di distanza.


Comunque, al di là di ciò che ha effettivamente utilizzato Archimede per opporsi all'esercito invasore, chiudo con una curiosità su uno strumento bellico della cui esistenza e costruzione siamo sicuri. E' il cinese pen huo qi, un lanciafiamme, ideato sul finire della seconda decade del X secolo. Documentato e illustrato nel manuale militare cinese di Wujing Zongyao, dove l'autore fornisce le istruzioni per il suo uso, manutenzione e riparazione, trova spazio anche ne La storia di Marco Polo detta Il milione, Grande Parodia ispirata a Il Milione di Marco Polo, di Guido Martina e Romano Scarpa, dove viene chiamato Ho-Pac.
Di questa ricerca ne ha parlato Joseph Calamia su Discoblog.
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